martedì 19 aprile 2011

L'anno della morte di Ricardo Reis di José Saramago

morte ricardo reisL'anno della morte di Ricardo Reis
di José Saramago

E’ il 1935 e Ricardo Reis ritorna in Portogallo dopo aver vissuto per sedici lunghi anni in Brasile.

L’anno della morte di Ricardo Reis è il romanzo dell’incontro tra José Saramago, Fernando Pessoa e Ricardo Reis. Saramago è lo scrittore; Pessoa il poeta morto il 30 novembre del 1935 ma presente nel romanzo con l’anima ed un corpo non ancora scomposto; Ricardo Reis è uno degli eteronimi con cui Pessoa firmava le sue poesie che Saramago fa sopravvivere all’autore rendendolo protagonista. Passato e presente, vita e morte e doppie identità si incontrano e riflettono sulla profonda solitudine degli uomini.

“…solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra le foglie e la radice”.

Saramago ha una visione della realtà e della politica diversa da Pessoa ed è per questo che la sua scrittura tra le righe del romanzo soffre. Ricardo Reis è un uomo che riflette su se stesso, rinunciatario e complicato mentre i personaggi di quasi tutti i romanzi di Saramago sono combattivi e passionali.

Ricardo Reis mira, fermo, “lo spettacolo del mondo”; il silenzio lo accompagna nell’infinito spazio vuoto, incolore ed inodore della sua stanza di albergo, delle strade di Lisbona bagnate inesorabilmente da continue piogge ed inondazioni, della casa in affitto spoglia di tutto. Fanno eccezione l’alito di Victor, l’ispettore di polizia, e lo scrosciare delle pagine di giornali sulle quali Ricardo Reis legge le notizie del mondo. Le visite di Pessoa sono per Ricardo Reis gli unici momenti di riflessione sulla vita, sospesa dalla morte. Anche con le donne è indeciso: ama Lidia e Marcenda, molto diverse tra loro. Classista: approfitta di Lidia ma la considera inferiore perché una cameriera; opportunista: si innamora di Marcenda ma la sposerebbe solo per la sua posizione sociale.

Solitudine, quindi, dell’anima, delle idee, delle persone sole nel maremoto degli avvenimenti della prossima seconda guerra mondiale. Il Portogallo vive nel suo isolamento sentendo l’eco  del regime franchista in Spagna, del nazismo e del fascismo e non muove ciglio. Ricardo Reis si esercita protagonista di una storia senza più riferimenti culturali, sospeso tra la vita e la morte che lo attende.

Agata Santamaria

domenica 23 gennaio 2011

Eduardo De Filippo "Si t'o sapesse dicere"



L'Idiota di Dostoevskij


lL'Idiota di Fedor Dostoevskij

È da tempo che non commento un romanzo; Dostoevskij ha assorbito le mie energie meditative. L’Idiota è stato un libro non particolarmente complicato ma difficile da leggere in modo continuato. Ci sono stati dei momenti di pausa e delle difficili riprese. Questo può voler significare che ha sollecitato delle particolari emozioni. Lo consiglio a chi è alla ricerca di una ragione, della ragione per affrontare le “splendide solitudini” della nostra vita.

Il Principe Myskin ritorna in Russia dopo lunghi anni, finalmente guarito dalla sua malattia curata in Svizzera. In treno verso Pietroburgo conosce due uomini attraverso i quali ha inizio la sua nuova vita. Viene introdotto in società e da subito etichettato come l’Idiota perché malato di epilessia e, quindi, a tratti, pazzo. Ciò però non impedisce di riconoscerlo come un uomo saggio, intelligente e di grande compagnia. Così interessante da essere conteso anche in amore. La sua malattia lo rende speciale, diverso, un uomo quasi profetico. Gli uomini e le donne sono attratti ed allo stesso tempo respinti dalla luce del Myskin. Il Bene ed il Male, la Coscienza e l’Incoscienza di sé sono incarnate nel Principe: l’idea rivoluzionaria di Dostoevskij è che per essere pienamente in vita bisogna provare compassione, partecipare al dolore dell’altro dopo averlo ascoltato, compreso e condiviso.

Così Umberto Galimberti commenta il principe Myskin,“L’idiota di Dostoevskij è un illuminato in quanto nella ricerca del senso della vita riesce a distanziarsi dalla pura materialità mondana. La stessa terminologia di idiota viene dal greco antico “idios”, privato, in contrapposizione a pubblico,
 cioè che non partecipa alla vita pubblica (in quanto incapace a vario titolo). Colui che vive ai margini od al di fuori della società considerata civile ed assume quindi comportamenti che questa considera spesso sconvenienti o insensati. Essere distanti dal senso comune della vita dunque come saggezza, come sapere di non sapere, come estrema conoscenza del potere della presuntuosa conoscenza”.

Interessante il commento di Hermanne Hesse presente nell’edizione Einaudi: "…dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta". Perché “.. due forze ci afferrano nel romanzo… La prima è la disperazione, l’accettazione del male, il subire, il non più opporsi alla crudele, sanguinosa durezza e problematicità della natura umana. Di questa morte bisogna morire.” … La seconda forza, una voce davvero celestiale è quella della coscienza dell’uomo. “Difficile è la via che porta l’uomo verso la propria coscienza, quasi tutti vivono costantemente in urto con tale coscienza, ma a ciascuno e in ogni momento, al di là del dolori e delle disperazioni, resta aperta quella via silenziosa che da senso  alla vita  e allevia la morte”.

Agata Santamaria