domenica 27 luglio 2008

Fernando Pessoa

Fernando PessoaFernando Pessoa


Il poeta è un fingitore


Citazioni scelte da Antonio Tabucchi


Feltrinelli


 


Fernando Pessoa, portoghese cresciuto in Sudafrica, è un personaggio assai complesso che riflette la frammentarietà dell’uomo postulata dalla psicanalisi e da un certo esistenzialismo novecentesco. Non a caso le sue opere sono firmate di volta in volta, da sé stesso e da altri tre personaggi immaginari: Alvaro de Campos, un ingegnere di origine portoghese educato all’inglese, ma sempre con la sensazione di essere straniero in qualsiasi parte del mondo, Ricardo Reis, un medico latinista e monarchico che in un certo qual modo simboleggia l’eredità classica nella letteratura occidentale, espressa con simmetria, armonia, una certa vena bucolica e con elementi epicurei e stoicismi, e, infine, Alberto Caeiro, contadino senza titoli di studio oltre a quello elementare.


 


 


 


 


 


Il poeta è un fingitore.


Finge così completamente


Che arriva a fingere che è dolore


Il dolore che davvero sente.


SM, I, 165


 


Sentire tutto in tutte le maniere,


vivere tutto da tutte le parti,


essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo…


SM, I, 329


 


È l’amore che è essenziale.


Il sesso è solo un accidente.


Può essere uguale


O differente.


L’uomo non è un animale:


è una carne intelligente,


anche se a volte malata.


SM, I, 223


 


Ho sempre rifiutato di essere compreso. Essere compreso significa prostituirsi. Preferisco essere preso seriamente per quello che sono, ignorato umanamente, con decenza e naturalezza.


LI, 106


 


Di nuovo ti rivedo, città della mia infanzia spaventosamente perduta…


Città triste e allegra, eccomi tornato a sognare…


Io? Ma sono lo stesso che qui è vissuto, che qui è tornato,


e che qui è tornato a tornare, e a ritornare,


e di nuovo a ritornare?


O siamo tutti gli Io che qui sono stato o sono stati,


una serie di grani-enti legati da un filo-memoria,


una serie di sogni di me di qualcuno fuori di me?


SM, I, 373


 


Sono sempre stato un sognatore ironico, infedele alle promesse segrete. Ho sempre assaporato, come altro e straniero, la sconfitta dei miei vaneggiamenti, assistendo casualmente a ciò che credevo di essere. Non ho mai prestato fede alle mie convinzioni. Ho riempito le mie mani di sabbia, l’ho chiamata oro, e ho aperto le mani facendola scorrere via. La frase era stata l’unica verità. Una volta detta la frase, tutto era fatto, il resto era la sabbia che era sempre stata.


LI, 149


 


I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo. Tutti questi mezzi toni della coscienza dell’anima creano in noi un paesaggio dolorante, un eterno tramonto di ciò che siamo. Il sentirci è allora un campo deserto che imbrunisce, triste di giunchi accanto a un fiume senza imbarcazioni, nereggiando chiaramente tra rive lontane


LI, 79



Legenda:


SM, I: Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, a cura di A. Tabucchi


LI: Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, a cura di M. J. de Lancastre


 


 


 


 

sabato 19 luglio 2008

la donna del ritrattoLa donna del ritratto


di Javier Cercas, Ugo Guanda Editore


Il titolo del romanzo di Javier Cercas è anche quello di un film anni quaranta di Fritz Lang: un professore universitario di criminologia subisce il fascino di una giovane donna incontrata per caso all’uscita da un club: va a casa sua e mentre discorre con lei piomba in casa l’amante della donna. Il professore, aggredito dall’uomo, lo ammazza per legittima difesa; si sbarazza poi del corpo con la complicità della donna e, quando ormai pensa che la polizia è sulla sua pista, ingerisce degli psicofarmaci per togliersi la vita. La sorpresa finale del film di Lang è che tutta la storia è in realtà non altro che un sogno/incubo del professore. La donna del ritratto è considerato un capolavoro assoluto del genere noir; gioca sul labile confine tra il bene e il male, tra la veglia e il sonno, tra l’innocenza e la colpevolezza.


Anche il romanzo di Cercas, ambientato a Barcellona, muove i suoi primi passi all’uscita di un cinema dove il protagonista, Tomás, ha appena visto il film di Fritz Lang. Incontra Claudia, il suo irrealizzato amore dei tempi del liceo e subito capisce che Claudia è sempre stata la donna della sua vita. Trascinato da un'esaltazione adolescenziale, il protagonista - che per esistere ha bisogno di mischiare vita e letteratura, scrittura e esperienza - si ritrova al centro di un'avventura erotica che ben presto assume i contorni del giallo, perché Claudia, dopo un’unica notte d’amore, svanisce nel nulla e lo costringe a un'affannosa ricerca che è anche una lotta contro le proprie ossessioni. In una storia d'amore che si tinge di noir, Javier Cercas racconta il mistero della donna e dei sentimenti; della felicità e del disinganno che segna inesorabilmente i rapporti umani. Esegue la cronaca minuto per minuto di un’insolita autodistruzione amorosa al maschile.


Nel romanzo c’è uno studio attento del rapporto intenso… tra vita reale e letteratura:


“[…] l’adolescenza, quel tempo in cui non si legge per piacere, per curiosità o per costrizione, bensì per un insopprimibile bisogno di conoscere il mondo e se stessi, ma anche, paradossalmente, per un bisogno opposto: quello di rifiutare il mondo e se stessi, non tanto con il proposito di vivere di riflesso le vertigini e i bagliori che una realtà impoverita e prevedibile non permette di vivere, quanto con la volontà di vendicarsi di questa: delle carenze, delle ingratitudini e asprezze, delle umiliazioni, dei fallimenti”.


… tra passato e futuro, ricordo e invenzione:


“[…] passato e futuro non esistono, che il passato è soltanto memoria e il futuro appena una congettura. Magari è vero, ma forse neanche il presente ha una propria entità, obiettiva, non solo perché è inafferrabile, una sottile lamina infinitamente effimera, e, come accade con la felicità, basta nominarla per farla scomparire (è sufficiente citare il presente perché questo si converta automaticamente in passato, così come nessuno può dire di essere felice senza cessare automaticamente di esserlo, poiché la prima condizione della felicità è l’assenza della coscienza della felicità stessa); ma anche perché il presente esiste solo nella misura in cui qualcuno lo inventa. Per questo vivere consiste nell’inventarsi la vita a ogni passo, nel raccontarla a se stessi. Per questo la realtà non è altro che il racconto che qualcuno sta narrando, e se il narratore scompare, anche la realtà scomparirà con lui. Da questo narratore dipende la percezione del mondo. La realtà esiste perché qualcuno la racconta. Inventiamo costantemente il presente, e ancor più il passato. Ricordare è inventare.”